Carbon footprint Scope 3: il dato che usi è (quasi sempre) sbagliato – e nessuno te lo dice
- Andrea Ronchi
- 27 mag
- Tempo di lettura: 3 min

Carbon footprint Scope 3 inaffidabile: il dato che usi è (quasi sempre) sbagliato
Un recente studio pubblicato sul Journal of Industrial Ecology – “Shedding Light on the Shadows: Transparency Challenge in Background Life Cycle Inventory Data” (Guo et al., 2025) – ha messo in luce una delle fragilità più sottovalutate nelle analisi ambientali: la scarsa trasparenza e l'affidabilità limitata dei dati di inventario del ciclo di vita (LCI).
Perché i dati della carbon footprint Scope 3 sono inaffidabili
La maggior parte delle emissioni Scope 3 viene calcolata usando dati di inventario secondari, cioè estratti da database LCI generici, aggregati e spesso obsoleti. Sono "proxy" di comodo utilizzati al posto di dati primari reali, ma che – come dimostra lo studio di Guo et al. (2025) – hanno livelli di trasparenza e rappresentatività drammaticamente bassi.
Ecco alcuni dati tratti dal paper e dalla letteratura tecnica che dovrebbero far riflettere ogni azienda che ha pubblicato (o sta preparando) un calcolo della propria carbon footprint:
Oltre il 60% dei dataset LCI non riporta in modo trasparente le fonti, le assunzioni o i limiti sistemici utilizzati nella modellazione.
Oltre il 70% dei dati nei principali database (Ecoinvent, GaBi, ecc.) è aggregato: non è possibile identificare i singoli contributi o verificarne la coerenza con i processi aziendali.
Le emissioni Scope 3 rappresentano fino al 90% della carbon footprint complessiva in molti settori (FMCG, moda, ICT, finanza...), ma sono spesso stimate con proxy generici o fattori economici ad alta incertezza.
L’incertezza nei calcoli Scope 3 può superare l’80-90%, rendendo poco affidabili anche dati formalmente “verificati” da auditor.
La maggior parte dei database LCI utilizza dati vecchi di oltre 5 anni, spesso raccolti in altri contesti geografici o tecnologici.
Scegliere i parametri giusti per evitare carbon footprint Scope 3 inaffidabili
Questi numeri non sono dettagli tecnici: sono la base su cui poggiano le decisioni aziendali in tema di clima, investimenti, reputazione, compliance e strategia.
Il problema non è solo tecnico: è culturale. In molti casi, si dà per scontato che basti usare un software certificato o un database "ufficiale" per ottenere risultati affidabili. Ma scegliere i dati d’inventario corretti non è mai un’operazione automatica. Richiede:
comprensione profonda delle fonti,
conoscenza dei limiti di rappresentatività (geografica, temporale, tecnologica),
capacità di validazione incrociata con dati primari interni,
una visione chiara dell’obiettivo dell’analisi (rendicontazione, investimenti, comunicazione).
Senza queste competenze, anche uno studio che ottiene una "verifica" formale rischia di produrre risultati inattendibili e quindi pericolosi.
Come evitare dati inaffidabili nella carbon footprint Scope 3
In un mondo in cui le dichiarazioni ambientali sono sotto scrutinio crescente, non basta "fare il calcolo". Serve farlo bene, con il giusto livello di rigore tecnico e con l’esperienza necessaria per navigare tra i limiti e le complessità dei dati disponibili.
La credibilità dei tuoi dati non dipende da chi li verifica, ma da chi li ha scelti.
Per questo motivo, affidarsi a chi ha esperienza reale in materia di analisi LCA e mercati della CO₂ è essenziale. L’analisi della carbon footprint non è un adempimento da delegare a chiunque: è uno strumento strategico per posizionarsi in un’economia sempre più attenta alla trasparenza e alla responsabilità climatica.
Se vuoi sapere come migliorare la qualità delle tue analisi di carbon footprint – o evitare di costruire strategie su basi incerte – scrivici: sarà un piacere aiutarti a rendere i tuoi dati climatici davvero affidabili.
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