top of page
  • Immagine del redattoreAndrea Ronchi

Chi investe e chi disinveste in base alla CO2e

La CO2 é entrata da relativamente pochi anni tra i parametri oggetto di valutazione del rischio delle imprese e degli investimenti, ma sta scalando velocemente la classifica di priorità. Qualche esempio delle ultime settimane:


  • NEST, il più grande fondo pensione inglese ha dichiarato il rapido disinvestimento in asset collegati ai combustibili fossili e ad organizzazioni con elevata carbon intensity (link)

  • BNP Paribas lancia THEAM Quant Europe Climate Carbon Offset Plan (link) che investe in azioni di società globali con elevati standard ambientali, sociali e di governance selezionate in base al loro impatto ambientale e alla loro strategia di transizione energetica, compensando l’impatto ambientale del fondo attraverso la compensazione delle emissioni misurate dalle aziende che lo compongono.


Ma anche tra i consumatori il tema CO2e è sempre più centrale: il recente studio di Capgemini (link) rileva che il 79% dei consumatori sta cambiando le proprie scelte d’acquisto in base ai parametri di Sostenibilità dei prodotti e servizi.



Lo stesso studio rileva anche una singolare asimmetria, ovvero solo il 36% delle aziende pensa che i consumatori siano disposti a modificare le proprie abitudini in relazione a parametri di Sostenibilità. É come se ci fosse una grande resistenza a modificare i business model da parte di quelle aziende che continuano a percepire la Sostenibilità come un costo. Ma investitori e consumatori stanno portando ad un cambio di percezione: secondo lo studio di Capgemini, i consumatori che scelgono prodotti che promuovono valori di Sostenibilità ambientale sono più felici poiché appagano alcuni loro bisogni sempre più importanti di contribuzione e la maggior parte degli amministratori lo ha notato (sembra ci sia una sorta di disallineamento tra executive e proprietà che scommetto sia tanto più forte quanto è più piccola l'organizzazione, ma questo lo studio non lo riporta).




Certo, anche i consumatori hanno bisogno di essere informati bene su cosa significhi che un prodotto sia effettivamente “sostenibile”, se da un lato la maggior parte desidera prodotti sostenibili, dall’altro, non sempre sono pronti a riconoscerli, come testimonia Alberto Chiappinotto, Global Climate Neutral project manager di Electrolux sempre sullo studio di Capgemini, affermando la neccessità di creare cultura. In questa direzione va sicuramente lo sforzo di Acqua Minerale San Benedetto, che nelle ultime settimane ha investito buona parte del suo budget pubblicitario per una serie di spot (link) ad alta rotazione che spiegano alcuni tasselli fondamentali del loro sforzo per rendere sempre più sostenibile i loro prodotti. Sono i bellissimi spot con Brumotti, che con i suoi virtuosismi in alta quota racconta di analisi LCA, modifiche al packaging e compensazione delle emissioni (e su questo pezzo sono orgoglioso di essere parte della strategia di San Benedetto).



Ma la cultura non deve essere sviluppata solo a valle, verso il consumatore, bensì anche a monte, lungo tutta la filiera.

Sempre la scorsa settimana il colosso della chimica BASF ha annunciato che entro la fine del 2021, sarà resa pubblica la carbon footprint con analisi LCA di tutti i suoi 45.000 prodotti in commercio (link), obbligando così tutta la filiera ad adeguarsi. Iniziativa simile a quella annunciata da Unilever 3 settimane fa e cha abbiamo riportato nel precedente articolo.


Il mercato sta ancora una volta anticipando la normativa, ma finché questa non sarà definita, i vantaggi per le aziende che abbracciano la strategia della sostenibilità ambientale saranno enormi anche in termini di visibilità.






459 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page